IL CIAPPINARO GIAPPONESE, RIMORSO AUTENTICO E PERDONO

“Per Sohara, quello con Yamada Takumi, era stato uno di quegli incontri che non smettono mai di accadere. Quelli in cui la sconfitta morale, il ribaltamento della fortuna e la compassione si mescolavano all’ira spaventosa rivolta però, non tanto verso chi ci ha fatto del male, quanto verso noi stessi che abbiamo permesso che accadesse. [...] Sohara sapeva che malgrado tutto gli dicesse che era sbagliato, non avrebbe potuto agire diversamente: non sarebbe stato capace di negargli qualcosa. [da “108 Rintocchi” di Yashimura Keiko]

Spesso immaginiamo la temperanza come una virtù che ci spinge a rinunce. Invece, se la osserviamo davvero, scopriamo che è la forza più dinamica che possediamo. La temperanza è quella virtù che ci permette di governare le nostre emozioni, di dare loro un senso ed evitare di agire meccanicamente, come se fossimo in balia degli eventi. Non è la fuga dagli eccessi ma è quel senso di padronanza interiore che ci fa decidere, consapevolmente, di vivere una vita sufficientemente buona.

Molti di noi camminano portando sulle spalle il peso di vecchie ferite, convinti che lasciar andare significhi dimenticare, o peggio, giustificare chi ci ha fatto del male. Ma se guardiamo più a fondo, scopriamo che il perdono non è un colpo di spugna sul passato, né un atto di debolezza. È, al contrario, una facoltà complessa, una potenzialità che ci permette di aprire un pensiero nuovo sulla relazione e sul gesto di chi ci ha offeso.
Nel nostro immaginario, confondiamo spesso il perdono con concetti che gli somigliano ma che ne tradiscono l'essenza. Perdonare non è un atto di grazia; non è giustificare l'offesa; e soprattutto non è dimenticare, che implica una rimozione volontaria di ciò che è stato. Il vero perdono è un processo lucido.

Chi perdona si espone al rischio di deludere o di essere deluso nuovamente. Tuttavia, decidere di correre questo rischio significa aprirsi alla vita e alla crescita, rifiutando di farsi definire dal male subito. È la scelta consapevole di non restare incastrati nel rancore. Il perdono ci esorta a sospendere la reazione rabbiosa, impedendoci di scendere sullo stesso piano di chi ci ha feriti.

Questo però non significa che il perdono sia un obbligo morale, nemmeno a Natale che ci sentiamo tutti più buoni. Il perdono non è sempre possibile e talvolta non è nemmeno giusto. Esiste un errore frequente, dettato forse dalla paura di perdere l'altro: offrire il perdono troppo velocemente. Se chi ci ha feriti non ha consapevolezza del male fatto, se i suoi atteggiamenti irrispettosi sono abituali nel tempo, perdonare diventa controproducente. Farlo troppo presto impedisce all'altro di comprendere i propri errori e, nel peggiore dei casi, lo autorizza a continuare a ferire.

In ambito relazionale la componente fondamentale perché il perdono possa trasformarsi in un percorso di ricostruzione è il rimorso. Il rimorso non è vergogna (che è disprezzo per ciò che siamo), ma è un sentimento situazionale e relazionale. È un dolore che desidera tornare indietro nel tempo per sistemare le cose. È la fatica di ritornare nel luogo dell'offesa e guardare lo scenario dell'errore con gli occhi di chi lo ha subito. Solo quando incontriamo un rimorso autentico, il perdono dispiega la sua forza più grande. Diventa un messaggio di fiducia che comunica all'altro una verità potente: "Ho scelto di perdonarti perchè tu vali molto di più dei tuoi atti".

Perché perdonare? Non necessariamente per salvare l'altro — che magari non ha ancora compreso i suoi errori — ma per salvare se stessi. Chi non perdona rischia di macinarsi nel rancore, restando ostaggio del passato. Mi piace pensare al perdono come un atto ribelle volto alla propria liberazione. Liberazione dall’invadenza dei pensieri negativi, spezzando la catena del dolore e riaprendosi alla possibilità di essere felici.

Il perdono non cancella le cicatrici, ma toglie loro il potere di fare ancora del male, trasformando un incidente critico in un punto di forza per una relazione rinnovata, o per una vita libera di tornare ad amare.

“Sohara lo avrebbe ricordato come il capodanno più felice della sua vita e non perchè davvero lo fosse ma perché decise di ricordarlo così.”

Buone Feste, a te e famiglia.

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