LA POTENZA DELLA FANTASIA

“La sortita dal castello era stata una vera battaglia. Dentro le sue mura m’ero sentita forte e sicura, ma era bastata quella casa, quel bambino all’abbeveratoio per far ritornare il passato. Ecco come tornava il passato… non con gli stessi personaggi, come nei romanzi, ma con altri nuovi che ci portano il ricordo di paure non cancellate.” (da L’arte della gioia, Goliarda Sapienza)

C’è una sensazione sottile che molti di noi provano oggi: l’impressione di correre velocemente su un tapis roulant che, però, non porta da nessuna parte. Abbiamo gli strumenti, abbiamo la tecnologia, abbiamo le app per misurare ogni nostra performance, eppure sentiamo che manca qualcosa. Quello che stiamo vivendo non è un semplice momento di stanchezza. È quello che potremmo definire un fallimento del paradigma.

Il paradigma è come un paio di occhiali che decidiamo di indossare. Non ti accorgi di averli, ma sono loro a decidere se il mondo che vedi è colorato o grigio, se è un luogo di opportunità o una giungla pericolosa. Un paradigma è l’insieme di regole invisibili che ci dice cos'è il successo, come dovremmo comportarci e cosa dobbiamo desiderare per essere felici.

Il problema nasce quando la realtà fuori cambia così velocemente che quegli occhiali non mettono più a fuoco nulla. Improvvisamente, le vecchie ricette – "lavora sodo e sarai soddisfatto", "pensa positivo e tutto andrà bene" – smettono di funzionare. Per anni ci hanno insegnato che la vita è una questione di performance. Come una macchina, dovevamo solo essere più efficienti, più veloci, più performanti. Il coaching, all'inizio, serviva a questo: era il meccanico che aggiustava l'ingranaggio.

Poi abbiamo capito che non bastava fare, dovevamo anche stare bene. Ci siamo concentrati su noi stessi, sulla nostra consapevolezza, cercando la pace interiore. Ma anche questo, a volte, ci ha fatto sentire isolati, come se la felicità fosse solo un fatto privato, mentre fuori il mondo continuava a correre frenetico.

Oggi siamo in una fase nuova. Non cerchiamo più solo di funzionare meglio o di sentirci un po' più rilassati. Cerchiamo significato. Il fallimento dei vecchi modelli ci mette davanti a una domanda nuda: perché faccio quello che faccio?

Il fallimento di un paradigma fa paura perché ci lascia nudi, senza risposte pronte. Ma è proprio in questo vuoto che accade qualcosa di magico. Quando smettiamo di cercare di aggiustare la vecchia vita per farla tornare come prima, iniziamo finalmente a crearne una nuova. Il nuovo non è un obiettivo da raggiungere, ma un modo diverso di guardare le cose. Significa smettere di essere spettatori passivi di regole scritte da altri e diventare autori della propria storia. In questo scenario, il cambiamento non è più correggere un errore, ma scrivere una narrazione diversa. Non si tratta di scalare una montagna più velocemente, ma di chiedersi se quella è davvero la montagna che vogliamo scalare.

Il suggerimento qui è di pensare alla crisi che sentiamo non come un segnale che stiamo sbagliando tutto, ma come il sintomo che siamo pronti per qualcosa di più alto. Il vecchio paradigma basato sul dovere e sul produrre sta lasciando il posto a uno basato sui valori e sulla connessione con gli altri.

Non abbiamo bisogno di nuove istruzioni per l’uso, ma di strumenti che ci consentano di sentire la potenza della fantasia che si sostituisce alla realtà, per metterla fuori gioco.

[Questa riflessione è tratta ed ispirata dall’articolo “Il fallimento paradigmatico nella domanda di coaching” di Luca Stanchieri, Direttore della Scuola di Coaching Umanistico]

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