NIKEFOBIA, DEFATICAMENTO E TRAGUARDI
Mi hanno raccontato che quando ero piccolo partecipai ad una corsa campestre, in testa tutta la gara, mi fermai a pochi metri dal traguardo. Di quel giorno penso di ricordarmi solo le persone che mi incitano a continuare e io che le guardo senza capire il perchè di tutta quella agitazione, in fondo, ero arrivato ed ero arrivato primo. Quasi. Infatti un altro bambino mi superò e solo lì mi resi conto che il traguardo era poco più in là.
La paura di vincere si chiama nikefobia: è quella sensazione di blocco che ci assale poco prima di portare a termine qualcosa. Lo si sente spesso in ambito sportivo ma può succedere anche sul lavoro o nelle relazioni.
Alcune interpretazioni la spiegano come una reazione autoprotettiva rispetto a ciò che la vittoria comporterebbe in relazione ad un ambito specifico della nostra vita. Se vinco poi si aspettano che vinca sempre. Se accetto più responsabilità poi me ne daranno sempre di più.
E sarò io all’altezza delle aspettative degli altri?
Mentre correvo questa settimana e il mio orologio mi diceva che l’allenamento fosse finito ed iniziavano i dieci minuti di defaticamento, ho pensato di fermarmi e in quel momento ho maturato un pensiero: se invece non fosse la paura di vincere a bloccare l’atleta bensì la consapevolezza di essere prossimo alla vittoria a farlo esitare poco prima del traguardo?
Non capita spesso ma quando capita può trasformarsi in un momento critico per l’atleta. A livello competitivo è il corridore o il ciclista che alza le braccia al cielo prima del tempo e viene sorpassato dal secondo. Il tennista a cui manca un quindici per vincere il torneo e finisce per perdere prima il game, poi il set ed infine il match. Il cestista che recupera la palla e sbaglia in solitaria il sottomano della vittoria. In allenamento è l’atleta che non si impegna perché tanto è un allenamento. Nella vita è l’atleta che non si prende cura di sé, attraverso la cura del proprio corpo e della propria mente.
Il mio dubitare dell’importanza di fare quegli ultimi dieci minuti di corsa mi ha fatto capire che, in quel momento, non avessi ben chiaro nè il significato nè dove si trovasse il mio traguardo. In quei dieci minuti di noia assoluta ho capito il grande errore che stavo commettendo nella collocazione del mio traguardo dieci minuti prima del previsto. In quel lasso di tempo di defaticamento ho allenato, tra le altre cose, la pazienza necessaria a correre lunghe distanze quando si smarrisce il senso e il significato del perché si ha incominciato a correre. Quei dieci minuti, apparentemente superflui, sono risultati quelli più difficili e, a suo modo, importanti di tutta la sessione di allenamento.
Per un atleta che sta affrontando un percorso, la consapevolezza del proprio traguardo, il suo significato e dove ci si trova in relazione ad esso, sono le condizioni fondamentali per allenare la disciplina necessaria al proprio successo.
Allenatori e maestri hanno il potenziale di essere guide chiave nella ricerca di questa consapevolezza.

